L’attacco di Leadsom a May sui figli, se le donne perpetuano gli stereotipi (e si fanno male)

Corriere della sera – La 27 ora – 10 luglio 2016 – Maria Silvia Sacchi

Le donne per prime non voglioni rinunciare al “potere” della maternità. Ma generare una vita non rende per forza migliori. Ci sono cattive madri e cattivi padri. Saper accettare i limiti è una forza

L’attacco di Andrea Leadsom (a destra nella foto) e Theresa May, che non potrà essere migliore di lei alla guida del governo inglese perché May non ha avuto figli al contrario di Leadsom che ne ha tre, dice molte cose importanti su cui è necessario riflettere.

La prima è che sono le donne per prime ad avvalorare quell’equazione donna=mamma che poi inchioda tutte le altre al tema della maternità. È il ragionamento che sta alla base del diverso tasso di occupazione femminile nel mondo, e in particolare in Italia dove ha un lavoro retribuito (cioè fuori casa) meno di una donna su due. Se sei donna, sarai mamma, quindi farai fatica a dedicarti al lavoro con tutta la tua dedizione (tranne casi sporadici), quindi ti offro un posto di lavoro e uno stipendio inferiore. Ma se le donne guadagnano meno degli uomini quando nasce un figlio saranno loro a restare a casa per occuparsene (un quarto si dimette dal lavoro per questo). Insomma, un circolo vizioso che non si riesce a interrompere.

La seconda considerazione è che troppe donne ritengono il fatto di avere figli “un potere” al quale non vogliono rinunciare in alcun modo. Le donne hanno grandi problemi nel tenere insieme vita e lavoro (quella che è definita “conciliazione” che riguarda solo il mondo femminile, mentre stenta a prendere piede la “condivisione” che richiede che uomini e donne affrontino insieme le responsabilità di cura familiari) ma questo avviene “anche” perché le donne stesse fanno fatica a cedere un solo centimetro del proprio potere sul figlio/a. Frasi come “il piccolo ha bisogno della tetta”, cioè del latte materno, magari fino a quando ha già messo su i denti, non sono inusuali tra le donne, che si ritengono indispensabili per i propri figli fino in età avanzata, relegando il padre/marito in un ruolo subalterno (ricordo un amico che mi raccontava come per diverso tempo il suo compito di padre si fosse limitato a portare passeggini, caricare la macchina del necessario e incombenze “fisiche” di questo tipo).

Assegno alla maternità (fisica ma soprattutto emotiva) un ruolo centrale nella società e penso di averlo scritto spesso. È un bene che va difeso in tutti i modi e da tutta la società. E so anche che la maternità ti può cambiare perché tocca delle corde che sono sepolte nella parte più intima della persona. Generare una vita nuova, che nasce da te (o che includi in te) ma non è tua proprietà, è una esperienza estremamente forte che, se si ha il coraggio di affrontare non meccanicamente ma mettendosi in gioco come persona, può affinare la capacità di comprensione, l’empatia, può aiutare ad avere fiducia nel futuro. Ma non è scontata, non è per tutti e non è una caratteristiche delle sole mamme ma anche dei papà. E pure di chi a vario titolo sta accanto a una vita nuova che nasce o rinasce. È qualcosa che sta nella mente, nel cuore, nello spirito, nell’anima – metteteci tutto quello che volete – delle persone disposte a interrogarsi su un fenomeno così grande come la vita. Ma ci sono cattive madri e cattivi padri, cattive donne e cattivi uomini.

Nel, chiamiamolo, “dibattito” tra Andrea Leadsom e Theresa May c’è un altro aspetto notevole. Intervistata dal Daily Mail, Theresa May parla del fatto di non aver avuto figli (a quando interviste alla pari uomini e donne con le stesse domande a entrambi?). “Io e mio marito – dice – non abbiamo potuto averne, l’abbiamo accettato e superato”. In una società che non vuole limiti, che pensa che tutto sia possibile e dovuto, saper accettare ciò che la vita dà, o non dà, è un valore. Un grande, grande valore.

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