A Roma la differenza si pratica già al nido

in.Genere   20 marzo 2018      –   Sara Marini

Ma il Vicariato non apprezza. E l’autorità della famiglia? E i modelli sicuri? Dove si va a finire? Una testimonianza in prima persona

Il 20 gennaio si è tenuto a Roma il primo incontro di La scuola fa differenza, un ciclo di otto corsi formativi rivolto a oltre 200, tra maestre di scuola dell’infanzia ed educatrici di asilo nido di Roma, per un totale di 17 scuole sparse sull’intero territorio urbano, dalle periferie al centro. Un programma di 176 ore, articolate in otto percorsi laboratoriali, di 22 ore ciascuno, basati sullo scambio e sulla co-costruzione dei saperi, sulla condivisione, la discussione e il confronto delle pratiche educative, dei metodi, dei materiali e dell’organizzazione degli spazi.

Lo scopo di questo lavoro è contrastare la disparità di genere e il persistere di pregiudizi, difficili da superare, nell’assegnazione di ruoli a maschi e femmine: si favorisce così la libertà individuale, si affrontano alla base le condizioni culturali della sopraffazione e della violenza maschile, dell’omofobia e del bullismo.

Questi sono gli obiettivi che hanno spinto l’Assessorato alla scuola, infanzia, giovani e pari opportunità di Roma, ad adottare il progetto ideato dall’Associazione S.CO.S.S.E. realizzato con la partecipazione di Archivia – Biblioteca Archivi Centri Documentazione delle donne,come modulo di aggiornamento professionale per l’offerta formativa di base rivolta a insegnanti della fascia di età 0-6 anni.

È la prima sperimentazione in Italia nell’età 0-3 anni.

Alla nostra iniziativa è seguito un attacco frontale del Vicariato e di parte del mondo intellettuale, politico-istituzionale e mediatico di matrice cattolica. Con un vocabolario e citazioni dal corso improprie e fantasiose, viene citata una “ideologia del gender” mal capita. Secondo i nostri critici si tratterebbe della la volontà di “indottrinare bambini di 9 mesi o 3 anni” o di valorizzare modelli familiari e identitari diversi dalla “famiglia naturale” o dalla “ … diversità … assolutamente originaria … tra maschietti e femminucce”.

Del resto non stupisce, visto l’analogo trattamento riservato ad altre iniziative analoghe. La pubblicazione degli opuscoli realizzati dall’Istituto A.T. Beck su mandato dell’Unar (Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali) per il contrasto dell’omofobia e del bullismo omofobico nelle scuole. Il progetto “Lecosecambiano@Roma” promos­so dall’Assessorato alla scuola del Campidoglio. La proposta per le scuole dell’infanzia della consigliera comunale di Venezia Camilla Seibezzi di acquistare 50 libri, come strumenti contro il razzismo e la discriminazione sessuale, che hanno fatto la storia dell’editoria per l’infanzia di qualità, italiana e internazionale. Si tratta di un fermento e di una compagnia che ci inorgoglisce.

I condizionamenti legati al genere sono infatti ancora ben presenti nel sistema educativo italiano e continuano  a condizionare sia il rendimento scolastico, sia la scelta dei corsi di studio e delle professioni di maschi e femmine, (Gender Differences in Educational Outcomes: Study on the Measures Taken and the Current Situation in Europe2010)Le donne – come ormai è ben noto – pur rappresentando la maggioranza degli studenti e dei laureati in quasi tutti i paesi, sono particolarmente presenti negli ambiti umanistico e artistico, nell’istruzione, nella sanità e nel sociale, mentre gli uomini sono ancora maggioranza nell’ingegneria, nell’industria, nell’artigianato e nelle costruzioni.

La divaricazione avviene già nei corsi d’istruzione secondaria: in Italia, le ragazze affollano gli indirizzi socio-pedagogici (85%) e artistici (67%), mentre risultano minoritarie negli istituti tecnici (44%). Appare evidente come le scelte che ragazze e ragazzi compiono ricalchino i ruoli tradizionali, dando origine a una segregazione di tipo orizzontale. Purtroppo gli stati europei di rado si rivolgono ad entrambi i generi, dunque il cambiamento è più difficile.

Sulle questioni riguardanti la gender equality, più o meno direttamente connesse al sistema educativo, in Europa esistono tre diversi modelli normativi, che corrispondono a diversi gradi di accoglienza di questi temi, in termini  di risultati, nella legislazione che riguarda l’istruzione: il modello italiano è quello più arretrato, le leggi sull’istruzione non menzionano infatti l’uguaglianza di genere come fine. L’iniziativa di  Roma di adottare la proposta progettuale di Scosse come sperimentazione, si pone dunque su un piano di intervento molto avanzato per gli standard italiani nell’ambito delle politiche europee.

Il progetto “ La scuola fa differenza”  muove intorno a tre assi che ne hanno ispirato l’ideazione e ne plasmano la realizzazione.

Le pari opportunità, intese come dispositivo mentale che si introietta, che risiede nell’immaginario individuale e collettivo prima che nel diritto, e che pertanto si costruisce e si alimenta dentro di noi. Che tutt* possono cimentarsi col fare tutto, attraverso il gioco, le relazioni che si instaurano in classe, le attività, l’immedesimazione nei personaggi dei libri che vengono letti o proposti, è la base perchè ciascun* abbia modo di fare i conti con i propri limiti, i gusti, le peculiarità, così che nella vita abbia davvero la possibilità di scegliere cosa fare, come farlo e chi essere. Il corso cerca di rivolgere l’attenzione su come e quanto, consapevolmente e inconsapevolmente, noi adulti possiamo incentivare o frenare bambini o bambine nello svolgere un compito, affidando loro o meno una responsabilità, concedendo fiducia, dando a tutt* uguale libertà di sfogare sentimenti ed emozioni, la cui espressione è il primo passo per imparare  a non reprimerli, a incanalarli in percorsi costruttivi. Tutto questo segna la costruzione dell’autostima, delle capacità di comunicare verbalmente e di contenere rabbia e dolore, vittorie e sconfitte. Per questo, quando noi parliamo di intervento dalla prima infanzia, non possiamo pensare di iniziare dalla scuola primaria, quando già molti di questi elementi si sono consolidati.

Il secondo asse è l’accoglienza, principio ispiratore per chi dedica la propria vita professionale all’insegnamento. Già largamente presente nell’offerta formativa e ampiamente condivisa nei gruppi educativi, la pratica dell’accoglienza, (tanto dei bambini e delle bambine, quanto delle loro famiglie, qualunque sia il numero e il genere dei genitori), determina quotidianamente per qualunque insegnante, scelte, progettazione, modalità di dialogo e confronto, dal primo giorno di scuola. Su questo tema è necessario un frequente aggiornamento, una costante ridiscussione che permetta di modificare le proprie scelte e il proprio approccio, in rapporto a una società in continuo cambiamento che nella scuola entra insieme ai bambini e alle bambine, con le loro differenti realtà e origini, i differenti bagagli culturali. Il gruppo è invitato a confrontarsi su questo tema, così da condividere spunti di riflessione, ma anche strumenti di lavoro, utili ad abbattere le diverse forme di esclusione o i traumi che possono inibire bambini o bambine a parlare di sè, soprattutto in presenza di minoranze. Ciò consentirà di rispondere al meglio, superando i pregiudizi, al bisogno di tutt* di vedersi rappresentat* nella storia o nelle immagini di un libro, e di potere, anche grazie a questo,  raccontare di sé ai compagni e alle compagne.

Infine, ma non ultimi, la valorizzazione e il riconoscimento dell’importanza e delle peculiarità del ruolo educativo che hanno insegnanti, educatrici ed educatori, già nella fascia di età 0-3 anni, considerando anche che è a scuola, più che in famiglia, che si instaurano e si sperimentano le relazioni tra pari. Leggendo affermazioni come quelle fatte sui giornali dai detrattori di questo corso, secondo cui “i genito­ri … si sentono scippati del diritto-dovere all’educazione”, tale valore appare subito non scontato. Per fortuna nelle scuole dove si svolge il corso non abbiamo trovato traccia di genitori ostili. La nostra scelta di non lavorare direttamente con bambini e bambine così piccol*, reputando che un intervento esterno, limitato nel tempo, avesse un carattere estemporaneo, ma di confrontarci con le figure adulte di riferimento che condividono con loro la quotidianità, parte proprio da questo presupposto.

Attraverso la condivisione e la discussione delle esperienze, la costruzione  di saperi su questi temi, che parte dall’osservazione e dall’ascolto in classe, emerge chiaramente il ruolo di mediatrice che la maestra o l’educatrice ricopre quando legge un libro, racconta una storia, sceglie un registro, un tono della voce, un linguaggio, quando seleziona i gesti, quando commenta o sorvola riguardo a dei comportamenti, esalta o svaluta dei caratteri o delle azioni o quando assegna dei compiti.

È necessario dunque saper decifrare i modelli che consciamente o meno stiamo veicolando, per essere in grado di mediarli in modo sereno e consapevole.

Commenti chiusi.