Perché scriviamo appelli

Corriere della sera – La 27 ora 11 maggio 2020 – Francesca Comencini per Snoq? Factory

Siamo molto felici della risposta del presidente Conte alle senatrici che si sono rivolte a lui per chiedere un maggiore equilibrio di genere ai tavoli di esperti per la ricostruzione del Paese. Il suo impegno è importante ed è la prima risposta ufficiale ai tanti appelli in tal senso che abbiamo scritto e letto in questi giorni. Forse però, proprio in virtù del dibattito che ne è scaturito, ci siamo convinte che sia utile provare a spiegare il senso, per noi, della lotta affinché questo equilibrio avvenga.

In questi due mesi di confinamento leggiamo spesso riflessioni su come questi tempi ci cambieranno. E’ normale chiederselo. Stiamo vivendo un’esperienza mai vissuta. Ci sentiamo nude/i di fronte all’essenza delle nostre vite, dei nostri ricordi e dei nostri sogni che improvvisamente fioriscono come papaveri selvatici, e anche di fronte alla piega che questo mondo, di cui facciamo parte, aveva preso. Ci appare in modo chiarissimo che non si può “essere sani in un mondo malato” e questa chiarezza deriva da un’esperienza concreta. Non più solo frasi, aspirazioni, precetti: usciamo di casa con la mascherina, abbiamo paura, siamo in pericolo e siamo fragili. Come un’onda sotterranea, la coscienza che le cose non possano andare avanti allo stesso modo si sta gonfiando alle fondamenta di noi stesse/i.
E’ un sapere ancora muto ma potente che si esprime in piccoli gesti: in uno sguardo che si posa con un’inclinazione più obliqua e attenta sulle altre persone e non come un faro sparato dritto in faccia, un sorriso e qualche parola scambiati con i vicini, la sensazione fisica, anche se attraverso una mascherina, di un’aria pulita come mai avevamo sentito in città, che ci fa fermare un attimo, senza motivo, con i sacchetti della spesa in mano a guardare il cielo e respirare. E allora, in questi piccoli squarci ciascuno il suo, se ci affidiamo a ciò che sentiamo, per un attimo pensiamo che sì, le cose potrebbero cambiare, potrebbero essere diverse e questo perché sentiamo di essere diverse/i noi. Ma è una sensazione fuggevole, anche se profonda, come aprire una porticina tra noi e il mondo, tra la casa e il mondo, e pensare che forse potrebbero comunicare.

Poi è sera, si chiudono i portoni, si accendono le televisioni: parlano gli esperti, si minacciano tra loro i potenti. Riprende il canto ufficiale degli scienziati e dei governanti, ed è un canto come certi cori sardi ma molto meno bello, tutto al maschile. Talvolta le voci di alcuni potenti che addirittura paventano possibili scenari di guerre mondiali ci appaiono così incongrue nella loro piccolezza, così inadeguate di fronte all’enormità del potere che hanno. Sono voci che hanno fatto della virilità la loro bandiera, voci di uomini che fanno i duri e che sono stati eletti non malgrado il loro disprezzo nei confronti delle donne, ma in virtù di esso. Ecco, se riconsegniamo a loro le chiavi, se la porticina tra quel sapere silenzioso che sentiamo respirare dentro di noi e il governo del mondo non si apre allora si, sicuramente le cose resteranno uguali e saranno forse anche peggiori.

Partire da sé, un semplice principio politico a cui si potrebbe aprire la porta per governare. Lo ha pensato e praticato il femminismo, movimento politico che ha cambiato più di ogni altro questo Paese nell’ultimo secolo, con grande forza e a passi di colomba, invadendo le piazze, le strade, le politiche, le case, gli amori, le coscienze, le vite, le famiglie, ma mai i governi. Per questo scriviamo e scriviamo ancora, testardamente, appelli, lettere: non per rivendicare diritti (che diritti dovremmo rivendicare? Siamo più di metà dell’umanità!) non solo per una faccenda di numeri o quote (che sarebbero comunque sacrosante), non per meriti non riconosciuti (che pure ci sono, che spreco), ma perché non si richiuda ancora una volta dopo questa epidemia la porta su un battito diverso del mondo, un respiro più profondo, un cambiamento a partire da noi: da quel passaggio sempre interrotto tra le vite e governi, quella porta sempre richiusa alle donne (che sia questa la malattia più antica e grave del mondo, papa Francesco?) questa volta e per forza le donne dovranno passare, per aprire finalmente la possibilità di un mondo diverso, per tutte e per tutti.

Articolo di Francesca Comencini per Se non ora quando – factory

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