Corriere della sera – La 27 ora – 31 maggio 2020 Cristina Obber
16 anni per averla sgozzata, per averne occultato il corpo in una fossa di liquami, corpo ritrovato dopo venti giorni in avanzato stato di putrefazione, pieno di larve e vermi, riconoscibile soltanto da un piccolo tatuaggio e dei braccialetti. Si chiude così la sentenza di primo grado nel processo a Fabrizio Pasini, 50 anni, che nel luglio 2018 ha ucciso Manuela Bailo, la collega 35enne con cui da tre anni aveva una relazione extra coniugale. È stato concesso il rito abbreviato, inapplicabile per i femminicidi commessi dopo l’entrata in vigore della legge 19/2019, che ha comportato uno sconto di pena di 8 anni dai 24 di partenza. Torna in mente un’altra sentenza, del 2013, sempre a Brescia, che ha condannato Claudio Grigoletto a 30 anni per il femminicidio della sua segretaria e amante Marilia Rodrigues Martins, incinta di 4 mesi.
Per Pasini invece 16 anni, che con una buona condotta ridurranno ulteriormente una pena che stordisce e umilia, a cui si stenta a credere.
Si stenta a credere anche che per l’occultamento di cadavere il giudice abbia ritenuto che fosse congrua una pena aggiuntiva di soli 6 mesi. 6 mesi per aver infilato il corpo della donna in due sacchi neri della spazzatura, averlo portato in una vecchia cascina, gettato nella fossa liquami poi ricoperta con due lamiere. Non ha nemmeno restituito ai familiari un corpo su cui poter piangere. E non ha nemmeno agito d’impeto, perché ha ucciso Manuela verso le 4 del mattino, nella notte tra il sabato 28 e la domenica 29 luglio, e ha lasciato il suo corpo nascosto nello scantinato dei parenti fino al lunedì pomeriggio, quando dopo il lavoro è andato a prenderlo per portarlo nella cascina. Non le ha riconosciuto un po’ di dignità né da viva né da morta. Questa atrocità nell’atrocità può valere solo 6 mesi di carcere? E un delitto tanto efferato può valere una decina di anni di carcere? Oppure 7, oppure 15?
Come Grigoletto e come altri, si tratta del femminicidio dell’amante quando diventa un ostacolo, quando smette di restare al suo posto, accogliente e senza pretese. Quando smette di credere alle bugie e alle promesse con cui certi uomini chiedono di avere pazienza, dicendo che si stanno separando dalla moglie, mentre invece tengono in piedi doppie vite con disinvoltura e freddezza, la stessa freddezza con cui uccidono e con cui si costruiscono alibi. Fabrizio Pasini dopo aver accoltellato Manuela Bailo ha mandato per tre giorni messaggi dal telefono di lei a familiari, amici e colleghe, persino a se stesso, affinché non la cercassero e lui potesse avere il tempo di far sparire il suo corpo.
L’ha uccisa all’alba della domenica eppure nella stessa domenica pomeriggio ha inviato ai propri figli, al mare con la nonna, un selfie di lui e la moglie sorridenti. Moglie a cui aveva raccontato di essersi assentato per stare vicino a un collega depresso, di essere inciampato nel guinzaglio del cane di quest’ultimo ed essere finito al pronto soccorso per la caduta.
Il lunedì 30 agosto, poco dopo aver abbandonato il cadavere della vittima nella fossa liquami, Pasini era stato sorpreso nella cascina dal proprietario e prontamente si era giustificato dicendo di essere lì per un sopralluogo in merito a una gara di soft air, gioco di cui è appassionato e per il quale conosceva bene il posto. Mercoledì 2 agosto è stato sentito dagli inquirenti come persona che frequentava Manuela, i cui genitori avevano denunciato la scomparsa. Aveva detto di non sentirla da giorni e di averla chiamata per sapere come stava senza ricevere risposta; aveva affermato che la loro relazione si era chiusa da un anno, quando invece non era mai finita. Ancora lucidità e freddezza. E poi è partito per due settimane in Sardegna, sapendo che il corpo di Manuela era alla mercé dei vermi. Mentre era in vacanza le indagini e gli indizi si sono concentrate su di lui, è stato emesso un decreto di perquisizione, e al suo rientro Pasini ha confessato, consentendo di ritrovare i resti di quel corpo straziato. Pasini e Bailo erano colleghi di lavoro, lavoravano entrambi alla Uil di Brescia, che si è costituita parte civile al processo.
Alessandra Menelao, responsabile nazionale dei Centri di Ascolto Uil mobbing e stalking contro tutte le violenze, parla di Pasini come dell’ennesimo uomo che ha costruito una ragnatela manipolativa, una «ragnatela delle bugie che quando gli si è rivoltata contro ha agito l’omicidio organizzandolo nei dettagli». «Da un punto di vista giuridico – continua Menelao – siamo molto dispiaciuti che il giudice non abbia accolto la tesi del PM sulla premeditazione».
Osserva che «studiando i fatti si può evincere che la dinamica delittuosa è stata lucida, organizzata e premeditata. L’assassino aspettava solo che gli eventi fossero “propizi” per commettere l’omicidio». E aggiunge: «Quella sera lui ha avuto “l’occasione giusta” per mettere in atto un delitto che aveva immaginato da tempo e premeditato da almeno alcuni giorni». Menelao ricorda che Pasini «si è precostituito un alibi con la moglie e uno differente per gli inquirenti, ha inviato numerosi messaggi con il cellulare di Manuela per depistare le indagini, ha occultato il cadavere in un posto che conosceva bene nella speranza che il caldo e l’umidità avrebbero cancellato le tracce del suo crimine». «Tutto questo – dice – non può essere il frutto di un atto estemporaneo e siamo sicuri che il sostituto procuratore Francesco Carlo Milanesi, che con scrupolo e professionalità ha ricostruito la dinamica dei fatti, farà appello alla sentenza di primo grado. In Italia le donne devono sentire che la giustizia è dalla loro parte non solo perché ce lo impone la Convenzione di Istanbul ma perché un delitto contro una donna è un delitto contro tutte le donne che subiscono violenze dai loro aguzzini».
Gabriella Moscatelli, presidente del Telefono Rosa, che ha visto rigettata la richiesta di costituirsi parte civile al processo, definisce «indegna» la sentenza e si dice allibita di fronte a «una sottovalutazione così plateale di un orrendo femminicidio». Parla di «vergogna per il poco valore riconosciuto alla vita di una giovane donna», della necessità di «una amara riflessione sul trattamento riservato al suo corpo». E si chiede quale messaggio, con questa sentenza, stiamo inviando alle giovani generazioni di uomini e di donne.
Articolo Corriere della sera La 27 ora