Azione 7 settembre 2020 – Stefania Prandi
Intervista – Bambini, ragazzi e adulti vengono condizionati dagli stereotipi di genere, che li penalizzano. Ci spiega come Maria Giuseppina Pacilli, professoressa di Psicologia sociale e autrice di Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità
Fin da piccoli ai bambini viene detto di comportarsi da «maschietti», sollecitandoli a «non fare le femminucce» quando piangono, hanno paura oppure si lamentano. Crescendo, l’esortazione da parte di adulti e coetanei continua, trasformandosi nell’imperativo di diventare «veri uomini». Ma cosa significa esattamente essere «veri uomini»? La domanda può fare sorridere chi pensa che maschi si nasca, con un corredo di ormoni specifici, tra i quali primeggia il testosterone, e con caratteristiche fisiche e psicologiche ben definite, che vanno dalla forza, alla predisposizione al comando e alla razionalità.
La risposta è in realtà complessa, come spiega Maria Giuseppina Pacilli, professoressa di Psicologia sociale all’Università di Perugia, in Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità (Il Mulino). Nel libro si analizzano le cause e le conseguenze degli stereotipi di genere, del sessismo e delle discriminazioni mostrando come possano essere dannose e svantaggiose anche per gli uomini, sebbene in modo diverso rispetto quanto avviene per le donne.
Professoressa Pacilli, cosa significa essere «veri uomini»?
L’espressione «vero uomo» è assai suggestiva. Ci avverte, infatti, che uomini e donne devono stare sempre in guardia per non confondere la versione originale e valida del maschio da quella falsa e di scarsa qualità. Per essere un «vero uomo» sono molti gli imperativi da rispettare, ma il primo e più pressante di tutti è senza dubbio quello di tenere lontano dal proprio modo di sentire, di pensare e di comportarsi la femminilità o forse sarebbe meglio dire ciò che, sulla base degli stereotipi, consideriamo femminile. Un uomo «vero» non mostra le proprie emozioni, non chiede mai aiuto, non ha paura di mettere in atto azioni pericolose, è aggressivamente vincente, interessato al potere e al successo professionale. Essere «veri uomini» è un atto sociale oltre che individuale e richiede continue e affannose dimostrazioni pubbliche. Non a caso, il timore di non essere abbastanza virili è un sentimento spiacevole che si incontra molto presto nel corso della crescita.
Quali sono i principali stereotipi e condizionamenti culturali che un bambino incontra?
I condizionamenti sono numerosi e provengono da varie fonti, in primis la famiglia. Un ambito su cui gli stereotipi pesano molto è, ad esempio, quello dell’emotività. I bambini rispetto alle bambine vengono educati a un’emotività limitata. I genitori, anche se non sempre in modo deliberato, scoraggiano i bambini a esprimere emozioni negative che segnalano debolezza, quali paura, vergogna o tristezza, considerando accettabile invece l’espressione di emozioni «forti» come la rabbia. Il rischio è che il mondo emotivo dei bambini diventi sempre più angusto. Inoltre, anche se la pressione sociale ad assumere comportamenti tipici del proprio genere investe sia i bambini sia le bambine, oggi sono soprattutto i maschi a essere puniti o ridicolizzati in caso di trasgressione.
In che modo gli uomini vengono penalizzati dai pregiudizi di genere?
Etichettiamo come femminili l’emotività e la sensibilità e come maschili la razionalità e la forza, ma di fondo si tratta di qualità dell’essere umano, la cui rinuncia compromette un sano sviluppo psichico e un’esistenza soddisfacente. Per gli uomini, nello specifico, questo corrisponde a condannarsi a molti problemi da un punto di vista psicologico. Qualche dato sulla salute mentale maschile può aiutare a capire. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sulle quasi ottocentomila persone che si tolgono la vita ogni anno, la percentuale degli uomini è doppia rispetto a quella delle donne. La depressione maschile è, infatti, spesso sottovalutata in quanto inconciliabile con l’ideale di uomo forte, vincente e invulnerabile. Altro dato non trascurabile è quello per cui, essendo per gli uomini socialmente poco desiderabile ammettere la propria vulnerabilità, chiedere aiuto a familiari o a persone professioniste della salute psicologica diventa una minaccia insidiosa alla propria mascolinità e dunque un tabù.
È difficile scegliere una maschilità diversa da quella dominante?
Abbandonare la maschera di potenza e infallibilità può sortire conseguenze molto negative sia in ambito relazionale sia professionale. Del resto, fare delle scelte conformiste è sempre meno costoso. Quando le proprie scelte si allineano con quelle della maggioranza, nessuno chiede conto della loro bontà, non bisogna difenderle pubblicamente: il codice culturale condiviso fa sì che tutti le considerino ovvie, normali e pertanto giuste e indiscutibili. Dunque, non solo è insufficiente, ma è anche profondamente ingiusto chiedere a ogni singolo uomo di modificare individualmente il proprio comportamento. Diventa quindi cruciale un lavoro di decostruzione degli stereotipi a livello sociale e culturale.
Le società europee sono pronte per superare gli schemi arcaici di pensiero che ancora penalizzano donne e uomini?
È una domanda complessa. Provo a rispondere articolando la mia risposta in due punti che corrispondono a due modi diversi e complementari che mi sembra di registrare rispetto alla questione. Il primo: in Europa abbiamo compiuto senza dubbio dei progressi importanti per allontanarci dagli schemi arcaici di pensiero. Il punto però è che, proprio in virtù di questi miglioramenti, spesso si riscontra un atteggiamento di «minimizzazione selettiva». Riconosciamo che la discriminazione di genere sia stata un problema importante nel passato, ma la riteniamo superata nel presente. Sentendoci affrancati da questo modo di pensare arcaico, percepiamo come inutile parlarne o lavorarci ancora. Il secondo punto è relativo al fatto che spesso vediamo l’uguaglianza di genere come un gioco a somma zero, in cui ci deve essere per forza un genere che vince e uno che perde. Le ricerche ci dicono, invece, che vivere in un paese dove è maggiore l’uguaglianza di genere si associa a maggiore benessere psicologico non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Questa è senza dubbio una buona notizia per impegnarsi ad abbandonare definitivamente un retaggio culturale che pesa sulla vita di tutti e tutte noi.