Il diritto alla famiglia delle persone omosessuali e transessuali. di Chiara Saraceno

Intervento in occasione della giornata contro l’omofobia e la transfobia, Torino, 17 maggio 2013

Ci sono molte buone ragioni per argomentare la legittimità della richiesta delle persone omosessuali di accedere al matrimonio. Se il fondamento contemporaneo del matrimonio, nelle società occidentali sviluppate, è la scelta libera di due persone di mettere in atto un progetto di vita comune, basato sulla solidarietà reciproca e sull’affetto, non c’è nulla nella relazione omosessuale che sia in contrasto con questo fondamento. Proprio il presentarsi della coppia omosessuale come amorosa, fondata sull’affetto, l’intimità, la reciprocità, su un progetto di solidarietà nel tempo – ovvero con le caratteristiche della coppia “moderna” – incrina la forza dell’interdetto culturale, prima ancora che giuridico, che la riguarda.
Anche l’impossibilità di concepire figli come, ed entro la, coppia, non può essere invocata per negare riconoscimento alla coppia omosessuale o in cui uno dei due partner sia transessuale. Né la sterilità della coppia, o di uno solo dei due, né la generazione con un terzo è causa di nullità del matrimonio anche tra le persone eterosessuali, né per la legislazione civile né per il diritto canonico della Chiesa Cattolica. Quell’interdetto poteva valere in un contesto in cui la coppia era insieme strumento di alleanze e di divisione del lavoro, in cui la funzione riproduttiva era importante, e perciò era anche importante che essa avvenisse entro garanzie chiare di consanguineità (anche se è sempre esistito lo strumento dell’adozione per correggere i “fallimenti” riproduttivi). Venute meno, o indebolite, quelle funzioni e quegli obiettivi, anche quell’interdetto perde, appunto, il proprio fondamento. Per questo in diversi paesi è stato tolto, consentendo l’accesso al matrimonio anche alle coppie omosessuali, o fortemente attenuato, creando istituti giuridici ad hoc per riconoscere pubblicamente lo status di coppia alle coppie omosessuali che ne fanno richiesta, o sono stati estesi loro gli stessi istituti giuridici riservati alle coppie eterosessuali che vogliono assumere reciprocamente impegni pubblici, ma non fino al matrimonio.
Molte coppie omosessuali, inoltre, vorrebbero anche realizzare una forma di genitorialità, quindi non escludono affatto l’apertura al futuro e alla generazione, come invece vengono talvolta accusate di fare da chi è contrario al loro riconoscimento. Una accusa che spesso viene rivolta anche alle coppie eterosessuali di fatto e che è ampiamente smentita dal dato che ormai, anche in Italia, un figlio ogni quattro nasce da genitori non sposati, ma stabilmente conviventi. Non vi è dubbio che la filiazione a pone questioni normative, giuridiche, ma anche relazionali ed etiche, in parte simili e in parte diverse non solo tra eterosessuali ed omosessuali, ma anche tra uomini e donne. A differenza del matrimonio, infatti, la filiazione implica responsabilità e diritti che vanno oltre il singolo e la coppia, coinvolgendo in primis i figli, ma anche le parentele e, nel caso di riproduzione assistita ed in particolare di maternità surrogata, altre persone. Riguarda quindi un campo sia normativamente che socialmente più complesso.
Le persone omosessuali e transessuali possono arrivare alla genitorialità in vario modo. Innanzittutto è frequente che una persona omosessuale o transessuale abbia alle spalle un matrimonio eterosessuale in cui ha avuto figli, di cui continua, ovviamente, ad essere genitore anche dopo aver preso atto della propria omosessualità o transessualità ed essersi eventualmente separata dal/dalla coniuge. Da tempo, ormai, l’omosessualità non è considerata elemento ostativo all’affidamento dei figli, ovvero alla capacità genitoriale. Perché allora dovrebbe esserlo per altri modi di realizzare la genitorialità? Ovvero per l’adozione o il ricorso a tecniche di riproduzione assistita con donatore o donatrice?
Le ragioni avanzate per giustificare gli ostacoli e i divieti alla genitorialità omosessuale – per via adottiva o tramite le tecniche di riproduzione assistita – sono di vario tipo e consistenza. La più ovvia, ma anche la più superficiale, è che, avendo “scelto” di avere una sessualità per definizione non riproduttiva, gli omosessuali non avrebbero diritto alla filiazione. Questo ragionamento si basa su due assunti, uno falso, l’altro discutibile. Il primo è che l’omosessualità sia, come già detto, frutto di una scelta e non una conformazione fisico-psichica esattamente come l’eterosessualità. Il secondo assunto è che alla sterilità di una coppia non ci sia rimedio possibile. In realtà le società umane hanno sviluppato diversi istituti per aggirare la sterilità di una coppia eterosessuale, in primis l’adozione e più recentemente la riproduzione assistita con donatore/donatrice. In altri termini, la sterilità, ostacolo alla riproduzione per via biologica, non lo è necessariamente alla filiazione in quanto tale, nel suo significato relazionale e sociale.
Più complesse sono le obiezioni “dalla parte dei figli”, che muovono dalla preoccupazione per uno sviluppo equilibrato della personalità di questi ultimi, se dovessero crescere in un mondo ove le figure genitoriali appartengono entrambe allo stesso sesso. Non esistono molte ricerche su bambini e ragazzi cresciuti con genitori omosessuali, anche perché è difficile – praticamente, ma soprattutto da un punto di vista etico – costruire un campione di questi soggetti. I dati esistenti suggeriscono che questi bambini e ragazzi in realtà crescono in un mondo di relazioni articolate, ove esistono importanti figure di riferimento dell’altro sesso rispetto a quello dei genitori (nonni/e, zii/e, amici/e). Non mostrano particolari difficoltà o squilibri sul piano psicologico e di sviluppo della personalità e neppure una anomala incidenza dell’omosessualità. Le difficoltà maggiori derivano dalla percezione dell’ostilità e disprezzo nei confronti degli omosessuali che essi sperimentano al di fuori del loro ambiente familiare. E’ la stigmatizzazione della omosessualità dei genitori che è pesante da portare ed elaborare da parte di un figlio/a – non diversamente, verrebbe da dire, da quella che un tempo colpiva gli orfani e talvolta ancora oggi tocca i figli di genitori separati, o adottati, o coloro che hanno caratteristiche somatiche fortemente diverse da quelle prevalenti. Senza sottovalutare a priori possibili rischi specifici – per altro da documentare – legati al crescere con genitori omosessuali, occorre distinguere tra rischi legati alla relazione genitoriale e rischi derivanti dal contesto sociale e culturale in cui essa si realizza. Non perché i secondi siano irrilevanti, dal punto di vista della esperienza dei figli, ma perché i due tipi di rischi rimandano a cause, e quindi a possibili azioni, differenti.
La questione della filiazione da parte di coppie omosessuali è oggetto di dibattito e di soluzioni diverse anche nei paesi che hanno riconosciuto uno statuto legale alle coppie omosessuali. I problemi e le soluzioni si intrecciano con i modi in cui i diversi paesi affrontano la questione dell’adozione – da parte dei single e delle coppie, etero o omosessuali, dai modi in cui è regolata l’adozione internazionale e i rapporti con i paesi da cui provengono i bambini adottabili, infine, dal modo in cui è regolato l’accesso alla riproduzione assistita, sia per quanto riguarda la possibilità di accesso da parte di singoli, sia per quanto riguarda la possibilità di ricorrere a donatore o donatrice. Soprattutto nel caso della riproduzione assistita, emergono ovvie differenze anche tra lesbiche e gay.
In ogni caso, proprio perché ogni regolamentazione in questo campo deve prendere prioritariamente in considerazione gli interessi e diritti dei bambini, appare paradossale che, come avviene in Italia, i bambini che nascono per volere di una coppia che assume così esplicitamente la responsabilità genitoriale siano giuridicamente orfani di un genitore, anche se all’atto pratico ne hanno due a tutti gli altri effetti ed anche se sono diventati figli nello stesso modo dei figli adottivi, o per riproduzione assistita con donatore, di molte coppie eterosessuali. Il loro essere legalmente orfani di un genitore, oltre che appartenenti ad una sola linea di parentela, con la connessa maggiore vulnerabilità agli accidenti della vita (morte del genitore biologico, separazione della coppia) è una condizione imposta dalle norme vigenti, non dalla irresponsabilità di qualcuno che si è rifiutato di riconoscersi come genitore.
Il fatto che si tratti di questioni relativamente nuove non significa automaticamente che siano irrisolvibili o addirittura che non vadano affrontate come tali. Al contrario, come è avvenuto e avviene per altri passaggi di cambiamento del modo di fare e concepire la coppia e la famiglia, è necessario farne oggetto di riflessione e confronto, anche aspro, ma aperto e rispettoso delle diverse posizioni e interessi e soprattutto della libertà e dignità delle persone. In molti altri paesi, anche culturalmente simili al nostro questo è avvenuto e sta avvenendo. Da tempo, ed anche recentemente, la Corte Costituzionale ha richiamato il Parlamento italiano al dovere di dare attuazione al diritto delle persone omosessuali a fare famiglia e di vedersi riconoscere le relazioni famigliari che costruiscono. Quanto ancora dovranno, dovremo noi tutti cittadini aspettare?

Presentazione “Coppie e famiglie. Non è questione di natura” di Chiara Saraceno

COPPIE E FAMIGLIE. NON È QUESTIONE DI NATURA

di Chiara Saraceno Ed. Feltrinelli

 

Martedì 12 Febbraio 2013 ore 18

presso la Fondazione dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce

Via Santa Maria, 1 Torino

 

Saluti di:

Marco D’Arrigo, Presidente Fondazione dell’Avvocatura Torinese “Fulvio Croce”

Intervengono oltre all’autrice:

Stefanella Campana, giornalista

Assunta Confente, Consigliera Ordine degli Avvocati di Torino

Laura Onofri, Referente Se Non Ora Quando – Comitato di Torino

Famiglia e coppia sono tra le istituzioni sociali più oggetto di regolazione che ci siano. È la società che di volta in volta definisce quali dei rapporti di coppia e generazione sono “legittimi” e riconosciuti come famiglia, e quindi hanno rilevanza sociale e giuridica, e quali invece non devono avere riconoscimento e sono lasciati nell’informalità, quando non nell’illegittimità. Storicamente e nelle diverse culture queste definizioni sono cambiate, così come sono mutati i soggetti cui è riconosciuto il diritto/dovere di normare che cosa è famiglia e quali sono le obbligazioni e responsabilità connesse ai legami familiari, la distinzione, o viceversa l’assimilazione, tra coppia e famiglia. Le differenze normative e culturali nei modi di intendere e regolare la famiglia, i rapporti di coppia e di generazione oggi sono rilevanti anche all’interno della sola area dei paesi sviluppati, e vengono ulteriormente accentuate dai fenomeni migratori. Su queste differenze si innestano i mutamenti prodotti da un lato dall’invecchiamento della popolazione, dall’altro dall’aumento delle coppie di fatto, dalla richiesta delle coppie omosessuali di vedersi riconosciuti i propri legami di coppia, dalle possibilità offerte dalle tecniche di fecondazione assistita che rompono l’ovvietà del legame biologico tra chi è genitore e chi genera. Sono cambiamenti cui i paesi danno risposte parzialmente diverse e che in Italia cominciano a essere affrontati solo ora.

Blitz alla Camera, salta la legge anti-omofobia

Pdl, Lega eUdc bocciano il testo in commissione. Il Pd: “Vergogna, il governo faccia un decreto”

di Elsa Vinci da La Repubblica, 8 novembre 2012

ROMA – Bocciata la legge contro l’omofobia. Se la Francia da ieri riconosce i matrimoni tra omosessuali, in Italia omofobi e transfobici possono continuare a girare indisturbati. Le norme che prevedono pesanti sanzioni penali per chi non rispetta una sessualità diversa finiscono in soffitta: a Montecitorio la commissione Giustizia ha approvato un emendamento della Lega Nord che ha cancellato l’intera legge. Il testo in discussione estendeva i contenuti della legge Mancino del 1993: un anno di carcere per chi istiga non solo all’odio razziale, etnico o religioso ma anche a quello contro le persone omosessuali. «Italietta bigotta», riecheggia la sinistra. «Medioevo dei diritti», accusa Ingazio Marino, senatore dei democratici. «Il centro-destra condanna il Paese all’oscurantismo», reagisce Nichi Vendola, leader di Sel. Il Parlamento è diviso ma c’è chi non si arrende.

Paola Concia del Pd, totem della comunità gay, da sempre impegnata nell’approvazione della legge, promette che la battaglia riprenderà in aula, dove però rischia di riformarsi il “fronte del no” organizzato da Pdl, Lega Nord e Udc. Donatella Ferrante, capogruppo del Pd in commissione Giustizia, chiede al ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, di intervenire direttamente con un decreto legge. «Le aggressioni sono all’ordine del giorno — ricorda — e solo il cinismo di Alfano, Casini e Maroni può perseverare in questa ipocrisia imbarazzante». Giulia Bongiorno (Fli), presidente della commissione Giustizia, parla di «ennesima occasione gettata al vento». Anche lei auspica l’intervento dell’esecutivo: «Rivolgo un appello a questo governo, così attento alle istanze europee, affinché riconosca l’urgenza di un intervento legislativo». Sul testo bocciato, prima firma Di Pietro-Palomba, giura di non arrendersi pure l’Idv. «Ancora una volta — afferma Federico Palomba — la lobby omofoba è intervenuta per bloccare una norma giusta e opportuna».

Una sola eccezione nel centro destra: la pdiellina Mara Carfagna, ex ministro per le Pari opportunità, al momento della votazione si è astenuta. «L’iter della norma anti omofobia — dice — deve andare avanti per trovare in aula soluzioni condivise ed equilibrate come quelle già attuate in molti Stati moderni». Lo stop alla legge ha provocato l’ennesimo strappo nella maggioranza che sostiene il governo Monti, e soprattutto ha allontanato ancora di più Pd e Udc. Ma al di là del dato politico, l’Italia sembra non riuscire a dotarsi di uno strumento giuridico che punisca i reati contro la discriminazione sessuale. La legge è stata affossata proprio nel giorno in cui tre Stati americani hanno approvato le nozze tra persone dello stesso sesso, mentre la Corte Costituzionale spagnola difende la legittimità della legge sul matrimonio omosex, e il governo francese sdogana i matrimoni gay. L’Italia, controcorrente, è l’unico Paese fondatore dell’Unione europea a non avere leggi di tutela per gli omosessuali. È recentissima, tra l’altro, l’ennesima aggressione omofobica di due ragazzi a Firenze che si tenevano per la mano. Il sindaco Matteo Renzi invita «a guardare soprattutto ai diritti». Il Pd ha scritto al ministro dell’Interno: se il Parlamento non è in grado di legiferare vi sono tutte le ragioni di necessità e urgenza per valutare la presentazione di un decreto governativo.

Coppie gay e adozioni, se la normalità diventa discriminazione

di Michela Marzano, da Repubblica, 6 novembre 2012

Per chi si oppone al disegno di legge sul matrimonio e sull’adozione delle coppie omosessuali, il vero problema è il benessere dei bambini. Sarebbe immorale e pericoloso permettere a due persone dello stesso sesso di adottare un figlio privandolo così della possibilità di avere un padre e una madre – dicono in molti – perché il fatto di non vivere in una “famiglia normale” ne metterebbe in pericolo la crescita. Ma che cosa vuol dire “normale” quando si parla di filiazione e di famiglia? Esiste un unico modo di occuparsi dei bambini oppure questa normalità di cui tanto si parla è solo un modo per discriminare gli omosessuali continuando a trattarli da “anormali”?

In realtà, l’idea di normalità non ha alcun senso quando si parla dell’ educazione dei figli. Esistono solo tanti modi diversi, per i bambini, di imparare a “tenersi su”, come direbbe il pedopsichiatra Winnicott. Ossia tanti modi diversi per capire che si ha diritto di essere quello che si è, indipendentemente dalle aspettative altrui. E che l’ amore che si riceve non ha né sesso né orientamento sessuale. Non è vero che le madri hanno tutte un istinto materno. Esattamente come non è vero che i padri sono tutti, per natura, incapaci di occuparsi dei propri figli. A meno di non restare prigionieri degli stereotipi che, per secoli, hanno codificato non solo la virilità e la femminilità, ma anche la maternità e la paternità. E a non ridurre quindi la famosa nozione di “ordine simbolico” alla caricatura secondo la quale solo chi ha un padre e una madre sarebbe poi capace di capire che, nel mondo, esistono due categorie di persone: gli uomini e le donne.

I gay e le lesbiche che vogliono poter adottare non pretendono affatto di cancellare la differenza dei sessi. Chiedono solo di non essere discriminati in base al proprio orientamento sessuale, ossia al fatto che il proprio desiderio sessuale si rivolge a persone dello stesso sesso. Ma opporsi all’ adozione delle coppie omosessuali in nome dell’ ordine simbolico non vuol dire solo confondere differenza e orientamento sessuale. Significa soprattutto non capire che il problema della filiazione è altrove. E che si pone sempre quando un bimbo arriva all’ interno della famiglia, indipendentemente dal fatto che un bambino cresca accanto a due uomini, a due donne, o ad un uomo ed una donna.

Per crescere, infatti, ogni bimbo ha bisogno di essere accettato nella propria alterità, e quindi di essere riconosciuto come “altro” rispetto ai propri genitori. Proprio perché è unico. E che la propria individualità è legata a quest’ unicità. È solo in questo modo che si ha poi accesso all’ ordine simbolico secondo cui non solo la donna è diversa dall’ uomo, ma ogni persona è diversa da tutte le altre, pur condividendone i diritti e i doveri. Incentrare il dibattito sulla questione dell’ unicità e dell’ individualità, però, costringerebbe ognuno di noi ad interrogarsi sulla propria capacità di tollerare ciò che è diverso. Sapendo benissimo che i bambini, quando crescono, si identificano non solo nei genitori, ma anche in tutti gli altri adulti che contribuiscono alla loro educazione. E che tanti problemi, nella vita, nascono quando non si è stati accettati e riconosciuti per quello che si era. Anche quando si è cresciuti in una famiglia “normale”, con un papà e una mamma.