“DALLA STESSA PARTE”: oltre 17000 le firme raccolte per chiedere la destituzione di Giulio Ferrara. Arrivano anchele Sardine a sostenere la richiesta

Comunicato stampa

Diventa un’onda nazionale la protesta lanciata dal movimento “Dalla Stessa Parte” che chiede la destituzione del Presidente di COTRAB Basilicata, Giulio Ferrara, condannato in tutti e tre i gradi di giudizio per violenza sessuale a danno di una lavoratrice.
La Petizione, lanciata su Change.org, sta volando verso le 20 mila firme e sta mobilitando il mondo dell’associazionismo non solo femminista, perché si ponga rimedio a questa inaccettabile situazione.

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Il congedo per vittime di violenza di genere. Le attese indicazioni dell’INPS

@bollettinoADAPT, 28 aprile 2016 – Rosita Zucaro

Le lavoratrici, che abbiano subito violenza di genere, costituiscono una categoria particolarmente vulnerabile all’interno del mercato del lavoro. Infatti la «violenza sulle donne non pregiudica soltanto la loro salute personale, ma può ripercuotersi anche nel contesto lavorativo di riferimento, all’interno del quale la lavoratrice vittima di violenza di genere può avere bisogno di riordinare la propria vita personale e lavorativa al fine di una opportuna conciliazione» (S. F. Sanchez, La violenza di genere nel decreto legislativo n. 80/2015 un primo commento con riferimento ai prece-denti della disciplina spagnola, in ADL, n. 4-5, 2015).

In base a tale assunto, e alle richieste da parte dell’ONU e dell’Unione Europea, per la prima volta tali vittime hanno ricevuto una tutela specifica da parte di una norma lavoristica*. Il riferimento, come ormai noto, è al D. Lgs. n. 80/2015, dedicato alla conciliazione vita-lavoro, che ha previsto per le donne, che abbiano subìto una forma di violenza di genere, un congedo ad hoc. Leggi il resto »

Donne Manager sempre sotto esame Ma i grandi disastri sono degli uomini

La 27 ora  Corriere della Sera  4 maggio 2014  – di Anna Meldolesi

Le donne sono delle osservate speciali, perché il ruolo di capo è per tradizione maschile

La scalata delle donne leader è ancora agli inizi e già si contano le cadute. Secondo uno studio sulle 2.500 aziende più importanti del mondo, solo il 5% degli amministratori delegati è di sesso femminile eppure la probabilità di perdere la poltrona è più alta per lei che per lui. Ben il 38% delle donne che hanno lasciato il posto negli ultimi dieci anni vi sono state costrette, mentre solo il 27% degli uomini è stato licenziato.

Il dibattito sul perché è aperto e ad alto rischio di sessismo più o meno consapevole. Escludiamo subito, per decenza, l’ipotesi secondo cui le donne sarebbero meno brave a comandare. Nessuno l’ha avanzata, per fortuna. La seconda della lista è fastidiosa ma il co-autore dell’indagine Per-Ola Karlsson la ritiene plausibile. In alcuni Paesi le pressioni culturali e politiche spingerebbero le società a osare un po’ di più pur di mettere al vertice una donna, e azzardare in qualche caso significa sbagliare. Una tesi, riportata dal Financial Times , che non avrà fatto piacere alle neo-presidentesse di Eni, Enel e Poste. Scoraggiante anche la lettura dell’Economist , secondo cui le donne falliscono perché messe alla guida di aziende in difficoltà. Il ragionamento è questo:

in mancanza di vivai interni, spesso le top manager di sesso femminile sono degli esterni, categoria da cui di solito si pesca quando il cielo è nero e che è facile cacciare quando inizia a piovere. Oltre al soffitto di cristallo che frena l’ascesa delle donne, insomma, ci sarebbe un precipizio di cristallo pronto a farle scivolare.

Ma dati forti a sostegno di queste ipotesi non ce ne sono, dice al Corriere John Antonakis, che studia le dinamiche della leadership all’Università di Losanna. Quello su cui molti sembrano d’accordo, invece, è che le donne sono delle osservate speciali, perché il ruolo di capo è tradizionalmente maschile. Se la nave affonda la responsabilità è del capitano. Quando si tratta di una donna è probabile che riceva poco sostegno e che la colpa sembri maggiore. I fallimenti femminili fanno notizia dunque. Ma i naufragi più rovinosi sono avvenuti con un uomo al timone.

 

Blitz alla Camera, salta la legge anti-omofobia

Pdl, Lega eUdc bocciano il testo in commissione. Il Pd: “Vergogna, il governo faccia un decreto”

di Elsa Vinci da La Repubblica, 8 novembre 2012

ROMA – Bocciata la legge contro l’omofobia. Se la Francia da ieri riconosce i matrimoni tra omosessuali, in Italia omofobi e transfobici possono continuare a girare indisturbati. Le norme che prevedono pesanti sanzioni penali per chi non rispetta una sessualità diversa finiscono in soffitta: a Montecitorio la commissione Giustizia ha approvato un emendamento della Lega Nord che ha cancellato l’intera legge. Il testo in discussione estendeva i contenuti della legge Mancino del 1993: un anno di carcere per chi istiga non solo all’odio razziale, etnico o religioso ma anche a quello contro le persone omosessuali. «Italietta bigotta», riecheggia la sinistra. «Medioevo dei diritti», accusa Ingazio Marino, senatore dei democratici. «Il centro-destra condanna il Paese all’oscurantismo», reagisce Nichi Vendola, leader di Sel. Il Parlamento è diviso ma c’è chi non si arrende.

Paola Concia del Pd, totem della comunità gay, da sempre impegnata nell’approvazione della legge, promette che la battaglia riprenderà in aula, dove però rischia di riformarsi il “fronte del no” organizzato da Pdl, Lega Nord e Udc. Donatella Ferrante, capogruppo del Pd in commissione Giustizia, chiede al ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, di intervenire direttamente con un decreto legge. «Le aggressioni sono all’ordine del giorno — ricorda — e solo il cinismo di Alfano, Casini e Maroni può perseverare in questa ipocrisia imbarazzante». Giulia Bongiorno (Fli), presidente della commissione Giustizia, parla di «ennesima occasione gettata al vento». Anche lei auspica l’intervento dell’esecutivo: «Rivolgo un appello a questo governo, così attento alle istanze europee, affinché riconosca l’urgenza di un intervento legislativo». Sul testo bocciato, prima firma Di Pietro-Palomba, giura di non arrendersi pure l’Idv. «Ancora una volta — afferma Federico Palomba — la lobby omofoba è intervenuta per bloccare una norma giusta e opportuna».

Una sola eccezione nel centro destra: la pdiellina Mara Carfagna, ex ministro per le Pari opportunità, al momento della votazione si è astenuta. «L’iter della norma anti omofobia — dice — deve andare avanti per trovare in aula soluzioni condivise ed equilibrate come quelle già attuate in molti Stati moderni». Lo stop alla legge ha provocato l’ennesimo strappo nella maggioranza che sostiene il governo Monti, e soprattutto ha allontanato ancora di più Pd e Udc. Ma al di là del dato politico, l’Italia sembra non riuscire a dotarsi di uno strumento giuridico che punisca i reati contro la discriminazione sessuale. La legge è stata affossata proprio nel giorno in cui tre Stati americani hanno approvato le nozze tra persone dello stesso sesso, mentre la Corte Costituzionale spagnola difende la legittimità della legge sul matrimonio omosex, e il governo francese sdogana i matrimoni gay. L’Italia, controcorrente, è l’unico Paese fondatore dell’Unione europea a non avere leggi di tutela per gli omosessuali. È recentissima, tra l’altro, l’ennesima aggressione omofobica di due ragazzi a Firenze che si tenevano per la mano. Il sindaco Matteo Renzi invita «a guardare soprattutto ai diritti». Il Pd ha scritto al ministro dell’Interno: se il Parlamento non è in grado di legiferare vi sono tutte le ragioni di necessità e urgenza per valutare la presentazione di un decreto governativo.

Coppie gay e adozioni, se la normalità diventa discriminazione

di Michela Marzano, da Repubblica, 6 novembre 2012

Per chi si oppone al disegno di legge sul matrimonio e sull’adozione delle coppie omosessuali, il vero problema è il benessere dei bambini. Sarebbe immorale e pericoloso permettere a due persone dello stesso sesso di adottare un figlio privandolo così della possibilità di avere un padre e una madre – dicono in molti – perché il fatto di non vivere in una “famiglia normale” ne metterebbe in pericolo la crescita. Ma che cosa vuol dire “normale” quando si parla di filiazione e di famiglia? Esiste un unico modo di occuparsi dei bambini oppure questa normalità di cui tanto si parla è solo un modo per discriminare gli omosessuali continuando a trattarli da “anormali”?

In realtà, l’idea di normalità non ha alcun senso quando si parla dell’ educazione dei figli. Esistono solo tanti modi diversi, per i bambini, di imparare a “tenersi su”, come direbbe il pedopsichiatra Winnicott. Ossia tanti modi diversi per capire che si ha diritto di essere quello che si è, indipendentemente dalle aspettative altrui. E che l’ amore che si riceve non ha né sesso né orientamento sessuale. Non è vero che le madri hanno tutte un istinto materno. Esattamente come non è vero che i padri sono tutti, per natura, incapaci di occuparsi dei propri figli. A meno di non restare prigionieri degli stereotipi che, per secoli, hanno codificato non solo la virilità e la femminilità, ma anche la maternità e la paternità. E a non ridurre quindi la famosa nozione di “ordine simbolico” alla caricatura secondo la quale solo chi ha un padre e una madre sarebbe poi capace di capire che, nel mondo, esistono due categorie di persone: gli uomini e le donne.

I gay e le lesbiche che vogliono poter adottare non pretendono affatto di cancellare la differenza dei sessi. Chiedono solo di non essere discriminati in base al proprio orientamento sessuale, ossia al fatto che il proprio desiderio sessuale si rivolge a persone dello stesso sesso. Ma opporsi all’ adozione delle coppie omosessuali in nome dell’ ordine simbolico non vuol dire solo confondere differenza e orientamento sessuale. Significa soprattutto non capire che il problema della filiazione è altrove. E che si pone sempre quando un bimbo arriva all’ interno della famiglia, indipendentemente dal fatto che un bambino cresca accanto a due uomini, a due donne, o ad un uomo ed una donna.

Per crescere, infatti, ogni bimbo ha bisogno di essere accettato nella propria alterità, e quindi di essere riconosciuto come “altro” rispetto ai propri genitori. Proprio perché è unico. E che la propria individualità è legata a quest’ unicità. È solo in questo modo che si ha poi accesso all’ ordine simbolico secondo cui non solo la donna è diversa dall’ uomo, ma ogni persona è diversa da tutte le altre, pur condividendone i diritti e i doveri. Incentrare il dibattito sulla questione dell’ unicità e dell’ individualità, però, costringerebbe ognuno di noi ad interrogarsi sulla propria capacità di tollerare ciò che è diverso. Sapendo benissimo che i bambini, quando crescono, si identificano non solo nei genitori, ma anche in tutti gli altri adulti che contribuiscono alla loro educazione. E che tanti problemi, nella vita, nascono quando non si è stati accettati e riconosciuti per quello che si era. Anche quando si è cresciuti in una famiglia “normale”, con un papà e una mamma.