Perché pochi bambini vanno all’asilo nido (non solo perché ci sono pochi posti)

Linkiesta 7 aprile 2021 – Gianni Balduzzi

Siamo tra i paesi con la più bassa percentuale di iscritti alle strutture per l’infanzia e per conseguenza tra quelli in cui la natalità è calata di più. Se a questo aggiungiamo il basso tasso d’occupazione delle donne tra i 30 e i 34 anni, quelle con la maggiore probabilità di essere madri, si capisce perché facciamo pochi figli

Le polemiche sulle chiusure delle scuole per contrastare la diffusione del Covid hanno toccato il picco massimo quando è stato deciso di chiudere, oltre che le scuole medie e superiori, anche le elementari, le scuole materne e persino gli asili nido in concomitanza del passaggio in zona rossa di molte regioni alcune settimane fa.

Il confronto con la Francia è balzato agli occhi di tutti: Oltralpe si è deciso già dall’autunno scorso di spendere il “tesoretto” di contagi che ci si poteva permettere tutto nell’ambito dell’istruzione, senza riaprire bar e ristoranti neanche nei momenti di calo dei casi positivi, come è stato fatto invece in Italia, dove si tornava in zona gialla sapendo che questo avrebbe portato a una nuova ondata.

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VOGLIAMO FIGLIE E FIGLI FELICI, NON CHIUSI DENTRO A GABBIE 

3 aprile 2019,   Manuela Manera

 “Difendiamo i nostri figli” è lo slogan che a partire dal Family Day del 2013 imperversa tra coloro che si schierano contro la cosiddetta “teoria del gender”, contro l’esistenza di diverse tipologie di famiglia, contro la scelta di interruzione della gravidanza. 

“Difendiamo i nostri figli” è una frase che assicura un’istintiva adesione e partecipazione ancora prima di ascoltare le ragioni che la sostengono e ancora prima di chiedersi “difendersi da cosa, da quale attacco, da quale pericolo?”. Tutte e tutti noi all’urlo “difendiamo i nostri figli” non possiamo che rispondere “certo, subito!”.

 I figli diventano (ancora una volta) il grimaldello per raggiungere ben altri obiettivi che la loro “difesa”; sono (ancora una volta) strumentalizzati per colpire la libertà e il diritto di autodeterminazione di tutte le persone. Non potendo affossare in modo diretto i diritti, si gira alla larga, creando un terreno di consenso attorno a temi che nessuno potrebbe criticare: ma come tali temi vengano poi declinati, intesi, argomentati, utilizzati per il raggiungimento di altri obiettivi, ecco questo è secondario, cioè viene in un secondo tempo e spesso non è spiegato in modo chiaro nelle sue realtà e conseguenze legislative (che hanno poi una ricaduta molto concreta nella vita di tutte e tutti noi in termini di tutele, possibilità, diritti). 

Ad ascoltare le parole del leader del Family Day Massimo Gandolfini (ad esempio nella recente puntata di “Porta a porta” del 2 aprile scorso), si possono individuare tre elementi ricorrenti che permeano e supportano l’intero impianto (pseudo-)argomentativo: 

  1. La riduzione di ogni discorso al solo livello biologico e l’assenza di ogni riferimento a legami affettivo-relazionale tra le parti: la famiglia è considerata da Gandolfini solo in termini meramente biologici, ovvero come unione di un maschio e di una femmina che procreano un nuovo individuo. Questa è la famiglia: un insieme di cellule, non di persone con vissuti e legami affettivi. 
  1. La riduzione della donna a utero:  la donna non viene mai considerata come persona con il diritto di scegliere e di autodeterminarsi; è considerata solo e sempre nella sua valenza riproduttiva, tanto è vero che Gandolfini insiste molto sul supporto economico come elemento che evita l’aborto; essere madre viene collegata ai soldi e non alla libera scelta di una persona di autodeterminarsi (in questo senso va anche il ddl Stefani sull’adottabilità del feto e il ddl Gasparri con la proposta di modifica dell’art. 1 del codice civile che vuole anticipare la “capacità giuridica” al momento del concepimento.
  1. La difesa dei figli: lo slogan “Difendiamo i nostri figli” viene ribadito in collegamento al concetto di “famiglia naturale” (vedi punto 1) e lotta contro l’aborto (vedi punto 2): i figli dunque verrebbero “difesi in primis assicurando loro la nascita e poi con la presenza di una madre e un padre biologici (o adottivi, ma sempre di due sessi opposti perché la riproduzione biologica umana è data da unione di gameti femminili e maschili). All’interno di questa cornice di presunta difesa, si inserisce anche la cosiddetta “ideologia del gender”, che altro non è che una narrazione tossica creata ad hoc per avere un nemico oscuro da cui difendere i figli: il “gender” (parola mutuata dall’inglese in modo fuorviante e risignificata in modo strumentale) è il mostro che aggredisce, perché minaccia l’identità di bambine e bambini indifesi (identità che, nella visione di Gandolfini & co., è unica e imposta dal sesso). Il discorsodi fatto, è sempre e costantemente appiattito su un piano meramente biologico, non considera la realizzazione delle persone che compongono la famiglia né parla della loro felicità e autodeterminazione come individuiLo  slogan “Difendiamo i nostri figli”che trova tanto successo, va rovesciato non agendo sulle argomentazioni (quelle vengono in un secondo momento), ma con un altro slogan, altrettanto potente e che parli alla pancia; uno slogan che metta ben in luce una visione diversa e che usi però lo stesso grimaldello loro: i figli (e le figlie!) 

Dobbiamo dunque agire con una nuova strategia comunicativa che rovesci il loro punto di vista, distruggendolo proprio a partire dallo slogan, che (in quanto slogan) basta a se stesso, esiste anche senza supporti esemplificativi o argomentazioni complesse. 

Dobbiamo iniziare a dire che “Vogliamo figlie e figli felici”:  chi potrebbe mettere in dubbio una frase simile? Ma non basta. La figura del padre severo (cfr. Lakoff, “Non pensare all’elefante”) è un modello che ha successo perché mira al benessere futuro: ciò che ora appare come una punizione porterà (secondo questo modello)  buoni frutti poi (“lo faccio per il tuo bene”). Dunque dobbiamo far passare l’idea che la difesa di cui loro parlano è una gabbia che crea insicurezza, infelicità, nevrosi, depressione e che in alcuni casi porta al suicidio. Noi non vogliamo questo per le nostre figlie e i nostri figli; noi vogliamo che loro possano essere felici. Noi vogliamo dare loro non gabbie che portano a nevrosi e traumi ma strumenti perché possano diventare persone autonome, serene, libere di scegliere. 

Vogliamo la felicità per le nostre figlie e i nostri figli, non gabbie dolorose ma felicità e serenità. 

Della mobilitazione contro il ddl Pillon e dei nostri diritti

Laura Onofri

A chi mi chiede se sono soddisfatta della mobilitazione di ieri contro il disegno di legge Pillon rispondo: sì,  ma solo in parte!

Sono soddisfatta per le tante presenze,  a Torino, oltre duemila, che in un pomeriggio piovoso hanno voluto testimoniare la loro forte contrarietà a questa proposta di legge; sono soddisfatta per l’alto livello degli interventi che si sono succeduti sul palco, donne e uomini che spendono la loro vita professionale a favore dei diritti, dei bambini, delle famiglie, hanno spiegato con competenza, passione e grande empatia, perchè questo disegno di legge deve essere ritirato; sono soddisfatta di come tutte le persone sono state attente, direi quasi rapite dagli interventi, manifestando solo alla fine di ogni contributo,  la  loro forte preoccupazione per una riforma che danneggia i bambini, le persone più fragili, quelle più svantaggiate; sono soddisfatta della grande forza e unità che il movimento delle donne e quello dei diritti più in generale, stanno ritrovando,  compatti in un obiettivo comune: fermare questo pericoloso cambiamento normativo. Leggi il resto »

La famiglia secondo il nuovo governo

in.Genere    22 maggio 2018

Il contratto appena firmato da Lega e 5Stelle rivela una precisa visione del ruolo delle donne e della famiglia: la cura è un problema tutto femminile. Chi ha i soldi può risolverlo pagando, le altre pesando sulle nonne o rinunciando al lavoro. Un’analisi di genere e le ripercussioni sull’economia

Che tipo di famiglia hanno in mente gli estensori del ‘contratto di governo’ Lega-5Stelle?

Pensano alla famiglia tradizionale, con l’uomo che porta a casa il pane e la donna impegnata nella cura dei famigliari, con al massimo un lavoro part-time a integrare il bilancio famigliare?

O a una famiglia che, fuori dagli stereotipi sessuali, condivide lavoro pagato e non pagato?

La domanda è importante, non solo per capire quali prospettive attendono la parità di genere, e in che modo si vuole rispondere al problema della sostenibilità del modello di sviluppo, ma anche per immaginare quale sarà l’impatto sull’economia del paese. A una prima lettura il contratto sembra barcamenarsi fra i due modelli descritti sopra, ma solo in apparenza. Leggi il resto »

Non è un paese per nonne

in.Genere   2 ottobre 2017

Ieri la giornata internazionale degli anziani, oggi la festa dei nonni, e l’Eurostat diffonde i numeri sugli ultraottantenni. In Europa sono ancora soprattutto donne (64%), e tra i paesi Ue è l’Italia a registrare la percentuale più alta di anziani sul totale della popolazione (6,7% seguita da Grecia, Spagna e Portogallo), segno che i giovani se ne vanno e che le nascite sono sempre meno.

In compenso, gli ultraottantenni in Italia hanno un’aspettativa di vita inferiore a paesi come la Francia o la Spagna. Insomma, le nonne italiane stanno un po’ meno bene di quanto pensiamo. E a farne le spese sarà ancora una volta la “generazione sandwich“, quella delle cinquantenni alle prese con figli non ancora autonomi e genitori di cui prendersi cura.