Huffington Post – 23 luglio 2015 – Deborah Dirani
“Ah e quindi hai 41 anni e quanti figli hai?”
“Nessuno, però ho due cani”.
Alla quarantamillesima volta in cui ho sbattuto il muso nella compassione di una prolifica mamma ho capito: il mondo si divide in due parti. In una ci stanno le donne vere (quelle con le ovaie attivissime e qualche pupattolo che ne attesta la vivacità). Nell’altra ci sto io in compagnia di quelle come me, sterili femmine di sicuro problematiche, certamente incompiute: ovverosia le poverette.
Ora: io amo i bambini. Ho una nipotina (bellissima, intelligentissima e, guarda un po’, adottata) che è il mio orgoglio. Ha appena concluso la prima elementare e, suo malgrado, è diventata oggetto della mia pavoneggiante boria con la sua pagella di tutti 10 e la sua dichiarazione di voler studiare astronomia quando sarà grande (perché poi di sicuro mi va nello spazio e mi batte il record di AstroSamantha). Me la mangio di baci ogni volta che la vedo e mi faccio menare per il naso con infinito piacere dalle sue chiacchiere allegre. Ma non è mia figlia. Perché io di figli non ne ho avuti.
Vuoi perché prima non era il momento giusto, vuoi perché i miei livelli medi di stress ubriacano i miei ormoni di stanchezza, vuoi perché lavorando mediamente 12 ore al giorno 360 giorni l’anno da non so più quanti anni è facile che il tempo mi scivoli tra le dita. Ho sempre pensato di volere dei figli, ma ho anche sempre pensato che non mi sarei accanita per averne.
Sono un pelo più accanita, invece, con quelli e quelle che mi considerano una povera femmina a metà: privata di quella immensa fortuna rappresentata dalla discendenza. All’ennesimo: “Come mai non hai figli”, domandato con aria preoccupatissima (manco avessi detto che ho una malattia mortale e mi restano 12 secondi di vita) ho deciso di rispondere con un cattivissimo e ancor più cinico: “Perché sono comunista e io i bambini li mangio, non li sforno”.
Siamo nel terzo millennio: il pianeta è sovraccarico di esseri umani, se la sventura volesse che a questo mondo non riuscissi a farcene entrare anche uno partorito da me, pazienza, amen, è andata così. Ma anche “e chi se ne importa”, non ne faccio un dramma io, figurarsi se lo deve fare qualcun altro.
La maternità è una scelta e un colpo di fortuna. Ho visto coppie sbranarsi fino all’ultimo brandello di carne dopo che avevano trasformato le loro sterili lenzuola in un’incubatrice. Ho visto amiche che si erano scordate che il sesso è gioia, non esercizio di riproduzione. Ho visto amici frustrati dal ruolo di torelli da monta nel quale si sentivano incastrati.
Ma datevi una calmata: tutti quanti. Un bambino è una bella cosa, ma non può essere la sola cosa che dà un senso alla vita. Ed è piuttosto avvilente constatare come ancora oggi (nel 2015) le donne debbano rispondere del peccato della mancata maternità.
E non importa quanto brave, intelligenti, di successo e soddisfatte siano queste donne (come dimostra l’articolo pubblicato da The New Statesman, intitolato “La trappola della maternità”, in cui vengono mostrate quattro politiche molto simili a Grimilde che, come lei, non hanno figli), il punto è che se non hai partorito non sei una donna, vera. Leggi il resto »