GIULIA giornaliste 8 settembre 2019
Quasi tutti i media raccontando il femminicidio di Piacenza hanno dato sfogo a una informazione superficiale, zeppa di stereotipi. Eppure in tanti – anche direttori – hanno firmato il Manifesto di Venezia
“L’amava, ma lei l’aveva respinto”. “Un gigante buono incapace di fare del male”. “Voleva tornare con lei, ma la donna aveva deciso di chiudere il rapporto”. “Un raptus per troppo amore”.
L’elenco delle parole sbagliate per raccontare la violenza sulle donne si arricchisce, ad ogni femminicidio, di nuove giustificazioni per il colpevole e di nuove coltellate alla vittima.Che scompare, non solo fisicamente: è una figura marginale nella ricostruzione, verso di lei non c’è rispetto, al massimo attenzione morbosa.
L’ultimo caso, a Piacenza, nei titoli e nei contenuti, sui giornali, ma anche in televisione, in radio e sul web, inorridisce, per la superficialità, il racconto concentrato sull’uomo, e sui complici, quasi si cercasse una spiegazione per riabilitarli.