Lui l’amava l’amava l’amava… e così l’ha ammazzata

GIULIA giornaliste 8 settembre 2019 

Quasi tutti i media raccontando il femminicidio di Piacenza hanno dato sfogo a una informazione superficiale, zeppa di stereotipi. Eppure in tanti – anche direttori – hanno firmato il Manifesto di Venezia  

“L’amava, ma lei l’aveva respinto”. “Un gigante buono incapace di fare del male”. “Voleva tornare con lei, ma la donna aveva deciso di chiudere il rapporto”. “Un raptus per troppo amore”.

L’elenco delle parole sbagliate per raccontare la violenza sulle donne si arricchisce, ad ogni femminicidio, di nuove giustificazioni per il colpevole e di nuove coltellate alla vittima.Che scompare, non solo fisicamente: è una figura marginale nella ricostruzione, verso di lei non c’è rispetto, al massimo attenzione morbosa.

L’ultimo caso, a Piacenza, nei titoli e nei contenuti, sui giornali, ma anche in televisione, in radio e sul web, inorridisce, per la superficialità, il racconto concentrato sull’uomo, e sui complici, quasi si cercasse una spiegazione per riabilitarli.

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Agnese Pini, 34 anni, direttrice La prima donna a firmare la «Nazione»

Corriere della sera La 27 ora 5 agosto 2019 – Irene Soave

«Ci ho messo quasi mezz’ora, entrata in ufficio, a sentire che potevo sedermi su quella poltrona: quella da direttore della Nazione. L’ho guardata un po’ dal divano, poi dalle due sedie di fronte, quelle dove per molto più tempo mi sono seduta mentre il direttore guardava le pagine che gli portavo. Ho spostato cose, fatto telefonate in piedi. Poi mi sono seduta». È un sentimento femminile, racconta la neo-direttrice Agnese Pini, classe 1985, prima direttrice donna in 160 anni di storia del quotidiano nato a Firenze: «l’idea di chiedersi se ce la faremo, la previdenza, l’idea che con una cosa bella ti arrivano responsabilità, che devi esserne all’altezza. Siamo più pratiche, sappiamo che un ruolo non è una medaglia vuota. Lo devi riempire. I maschi sono più…» Arroganti? «Abituati».

Sei anche molto giovane (tra giornalisti vige l’uso di darsi del tu, ndr). 
«Sì, e di una generazione, i nati negli anni ‘80, a cui è stato ripetuto sempre come un mantra che non ci saremmo mai collocati. Che la pacchia era finita, che non avremmo mai trovato lavoro. Il risultato è che abbiamo ottimi lavori. Ci siamo dati da fare, siamo concreti, non sbruffoni, sappiamo cento lingue, ci siamo laureati in tempo, non abbiamo rifiutato incarichi nemmeno umili. Nel 2009 mi sono iscritta a una scuola di giornalismo, la Walter Tobagi, di Milano: avevo 29 compagni come me, e tutti pensavamo, in fondo, di stare compiendo anche un azzardo a puntare tanto su un lavoro che sembrava così irraggiungibile. Oggi penso a quei mesi, ai sacrifici e alla tigna che abbiamo avuto da praticanti e poi da stagisti; alle occasioni avute e penso tutte colte; ai successi che poi sono arrivati. E sono fiera di noi, sono fiera della mia generazione».

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Lettera aperta a Enrico Mentana, ma anche a tutti gli altri Direttori

Caro Mentana, che dire, la sua maratona  elettorale è senz’altro la più interessante, la più completa, la più puntuale ed anche sì, grazie a lei la più divertente.

Ma c’è un però, un vulnus che non è addebitabile purtroppo solo a lei, ma a tutte le trasmissioni di commento politico: mancano le donne!

L’immagine  da lei postata su Instagram fotografa molto bene la situazione: tutti uomini e non solo nello staff di quelli dietro le quinte,  come testimonia la fotografia, ma anche fra i commentatori. E’ vero c’erano  varie  brave giornaliste inviate nelle varie sedi di partito ad intervistare i politici di turno (tutti rigorosamente maschi, tranne Giorgia Meloni) ma  il giudizio e l’opinione  dell’altro sesso è importante  e vorrei conoscerla per avere una lettura dei risultati politici e dello scenario che si verrà a creare in futuro anche da un punto di vista femminile.

Non diciamo che mancano le donne: ci sono molte brave giornaliste di livello che spesso sono più puntuali, più lucide e distaccate rispetto ai loro colleghi uomini in fatto di analisi degli scenari politici attuali e futuri. Alcuni nomi: Concita De Gregorio, Lucia Annunziata, Lilli Gruber, Barbara Stefanelli, Flavia Amabile, Annalisa Cuzzocrea, Giusi Fasano, Luisa Pronzato e tante tante altre ancora.

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«Prostituta a 9 anni»: il titolo indegno che rivittimizza le bambine – Cristina Obber

LETTERADONNA        19 febbraio 2018  Cristina Obber

A Palermo una coppia è stata arrestata perchè faceva prostituire la figlia, ma l’Ansa nel riportare la notizia usa un linguaggio improprio e carico di violenza.

Titolo Ansa del 19 febbraio: «Prostituta a 9 anni. Arrestati i genitori».
Manca una «i», perchè una bambina può al massimo essere prostituìta, subisce una scelta altrui. Non sceglie lei, attivamente, di fare la prostituta.
Una bambina sceglie di giocare, andare a scuola, guardarsi un cartone animato alla tv.
Il dizionario Treccani ci dice che «prostituta» è colei che «offre prestazioni sessuali a scopo di lucro». Le parole sono importanti perchè è – anche – attraverso le parole che esprimiamo il rispetto della persona. E chi fa giornalismo non può continuamente contraddire questo principio. Leggi il resto »

Lettera aperta a direttori, direttrici, giornalisti e giornaliste

Lo scorso 25 novembre per la prima volta Montecitorio e le sue sale hanno ospitato su invito della Presidente della Camera Laura Boldrini 1300 donne provenienti da tutta Italia che con ruoli ed esperienze differenti  hanno condiviso un segnale forte in un momento in cui è in corso una nuova “offensiva” contro le donne che hanno di nuovo cominciato a fare sentire la loro voce sempre più alta.

 Il 25 novembre è stata una giornata epocale, uno dei luoghi simbolo del potere italiano pieno di donne, diretta Rai2 e 3 per 2 ore, anche questo mai accaduto prima, ma la carta stampata ha sottovalutato il valore simbolico dell’iniziativa alla Camera, non dando lo spazio e il rilievo che meritava. Leggi il resto »